il Cerchio e il Circo
“dell’Amore, dell’Armonia, del Femminile, dell’Universo”
Giraudo Palumbo
Una mostra di Alberto D’atanasio
Dal 25 giugno 2011
Chiostro di Santa Caterina – Finalborgo – Finale Ligure (SV)
“Il Circo”, disse un vecchio che ci aveva vissuto da quanto era nato, “non è mai soltanto esibizione”, alzava gli occhi come a guardare qualcosa oltre il tendone e io lo guardavo, poi riprendeva: “ il Circo è magia. Rappresentazione e raffigurazione è una guerra contro il male perché poi a vincere siano gli spettatori di ogni età sia bimbi che vecchi perché quando si entra da quella porta il tempo si fermi”.
È da questo prologo di racconto che inizia la mostra in cui Claudia Giraudo e Ciro Palumbo espongono le loro opere. Non si darà figura soltanto ai personaggi tipici della vita e l’arte circense, attraverso loro si entrerà nel mistero di questa realtà antica e magnifica, dove tornano ad avere ragione di esistere termini come il fulgore, il fantastico, lo spettacolare, e le emozioni, le sensazioni e i sentimenti si rinnovano, il tempo davvero si ferma e il bimbo trova il coraggio dell’adulto e la sapienza del vecchio, e questi torna a commuoversi come un bimbo e l’adulto s’innamora e entrambi tornano a far sospirare il cuore.
Le opere di Claudia Giraudo e quelle di Ciro Palumbo sono sintesi di cose viste nell’immaginario, di realtà scrutate nei ricordi e nei sogni, sono soprattutto scintilla che muove quell’universo di sentimenti, sensazioni ed emozioni che il circo suscita. Questi due artisti non descrivono gli eroi dell’arena, né l’uomo che vola sul trapezio e neppure il domatore, ciò che loro realizzano è il dar corpo e immagine alla sensazione, al sentimento che il circo rimanda prima ancora che lo spettacolo abbia inizio e poi dopo che lo spettacolo è terminato. La filosofia che mosse il surrealismo cui è evidente si ispiri, anche se in parte, la Giraudo e la filosofia che invece è alla base della metafisica, soprattutto “saviniana, a cui è invece più ispirato Palumbo in questa esposizione sono fuse e superate. Claudia esclude ogni controllo esercitato dalla ragione ed è indubbio che ciò che dipinge è l’essenza vera del funzionamento reale del pensiero, ma i suoi rimandi a iconografie rinascimentali hanno un’armonia precisa come pure i simboli che le sue figure recano con l’aura dell’icona che deve lasciare un monito a chi guarda. Se i surrealisti ispirati da Breton escludevano “ogni preoccupazione estetica o morale” in Claudia Giraudo questa preoccupazione si risolve in figure che hanno il fascino delle illustrazioni delle favole che prima dell’avvento, su larga scala, dei mezzi di comunicazione di massa hanno permesso che si formasse la coscienza emotiva dell’uomo del XX secolo. Le sue giovani fanciulle hanno lo sguardo di chi sta ricordando fatti e sogni che hanno lasciato l’incanto nella realtà e ora il reale non può tornare quello che era prima. Claudia Giraudo vive l’entusiasmo dell’adolescente perpetuo, e il circo con i suoi spettacoli è lo spazio che permette di esorcizzare il mostro antico che si traveste da Crono e fagocita sogni e speranze e ci regala in cambio la malinconica tunica dei disillusi. Così i suoi giovani diventano personaggi che hanno visto il circo e hanno l’aura di chi è stato emozionato. E non è un’emozione passeggera quella che Giraudo dipinge con un talento assoluto, gli occhi dimostrano che è rimasto un sentimento che ha coinvolto nel profondo tant’è che le figure giocano con ninnoli e animali esotici. E non serve sapere se il fenicottero è lì davvero o è invece produzione del sogno della ragazza che lo tiene, ciò che serve è che la realtà sia capovolta e che un mondo nuovo sia dal circo uscito fuori per rendere nuovo questo che viviamo nel reale. Le ragazze di Claudia Giraudo giocano ancora come se nel pensiero tutto possa ricorrere e ritornare, without space neither time. È lo stesso stupore dell’epifania dei Re Maghi e di chi credeva che a Natale tutto potesse cambiare in meglio, come quando la neve se ne andava e si pensava che potesse lasciare il mondo diverso. Claudia ci viene a raccontare che non è vero che i miracoli non accadono più, è piuttosto l’uomo che smettendo di crederci ha escluso che certe energie possano intervenire nella realtà empirica. Se il surrealismo necessitava di un pensiero puro scevro da qualsiasi condizionamento derivante dalla ragione, Claudia riscopre la ragione dei sentimenti e la sua pittura si riveste di sogno che nel circo e nella pittura diviene realtà. Per Ciro Palumbo l’esperienza del circo passa attraverso un’estetica mediata dalla metafisica e quindi da un palcoscenico misurato che per De Chirico e Savinio era piazza e radura dove l’immaginario diveniva mistero e si manifestava agli spettatori che rimanevano attoniti e stupiti, ma al di qua del palco in una ipotetica platea. Quasi che il quadro diventi una sorta di boccascena dove prima o poi il sipario calerà senza alcun preavviso chiudendo la visuale su una dimensione paradossale. Così il tendone del circo nelle opere di Palumbo diviene isola e scenario allo stesso tempo e dentro c’è un Parnaso dove Apollo e le Muse sono ormai via lasciando un paesaggio che ha lo stesso incanto delle ragazze di Claudia Giraudo. E le rappresentazioni ambigue e paradossali che quest’artista descrive sono più elementi della metafisica, non usa la realtà per porsi al di fuori di essa, quest’artista usa gli oggetti della memoria perché l’osservatore abbia a ricordare; e nell’esercizio magico del tempo che ritorna il circo, nelle opere di Palumbo, ricompone il mosaico delle età e ci riscopriamo bambini e poi adulti e ancora vecchi, quasi che nel tendone tutto sia possibile e ancora il cielo viene a sposarsi con la terrà e le stelle fluttuano in uno spazio che non è fisico ma diviene essenza del cosmo. Così il circo diviene il luogo dove si materializza il desiderio divenendo realtà e la paura si supera con il desiderio che diviene speranza.
Se in Savinio i quadri raffigurano oggetti e forme riconoscibili, collocati in spazi ben definiti dal punto di vista architettonico, in Palumbo gli oggetti sono tramite tra spazio e tempo così che l’osservatore possa percepire il continuum dell’opera e il riecheggiare poetico dei ricordi. Ma se i vari elementi nelle opere della metafisica apparivano combinati in maniera assurda, apparentemente senza nessi tra loro. Nelle opere di Ciro Palumbo gli oggetti hanno la stessa dignità e l’essenza stessa dei sogni. Così ci appaiono le sue opere, come eterni palcoscenici che aspettano noi che guardiamo perché possiamo ancora provare lo stupore così da commuoverci e guarire un cuore piagato dal pragmatismo commerciale, mercantile moderno. Nelle opere di Palumbo la persona esiste in quanto capace di sognare, sperare oltre che pensare.
Non è solo una mostra quella di Palumbo e Giraudo, è piuttosto un percorso a ritroso come si prendesse la rincorsa per poi venire sparati nel futuro con la gioia di chi si scopre capace di godere di una cosa nuova e bellissima. Con lo sguardo sognante e il cuore impavido così come farebbe un eroe o un bambino, sparati fuori dal tendone del circo come la donna cannone. Venghino signori, venghino lo spettacolo sta per iniziare.
Alberto D’Atanasio
Docente di Storia dell’Arte e Semiologia dei Linguaggi non Verbali
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